Si pensa sempre ad andare avanti e mai a ritornare. La risposta più probabile che ricevi quando chiedi a qualcuno come sta è un 《Tiro avanti》, così lapidario da sembrare più una battuta d'arresto che un procedere. Dovremmo imparare dalla rondine il senso del ritorno. Le sue ali sembrano virgole, la punteggiatura di chi non si è ancora fermato e si fermerà solo il giorno in cui smetterà di volare. Se assomigliassero a un punto, dovremmo scordare tanto le sue migrazioni, quanto la nostra primavera. Il suo ritorno è molto più che le mille miglia delle sue traversate: è l'andirivieni con cui edifica il nido e sfama la sua prole, tanto da dover pensare che la fedeltà sia un via vai. Quando Ulisse combattè la guerra di Troia, impiegò un decennio per incassare la vittoria e un decennio per ritornare nella sua patria Itaca, quasi che la misura del nostro andare esiga necessariamente che ricordiamo i passi compiuti. Dimenticarli equivale a cancellare il viaggio: guarda caso, in greco ...
La Casa della Frase
Quand'ero ragazzo, durante gli ultimi tre anni della scuola superiore, si studiava la Divina Commedia; come immagino si faccia anche oggi.
RispondiEliminaAll'inizio del terzo anno, come indicato dalla lista dei libri, comprai il volume dedicato all'Inferno, col commento di Sapegno.
Al che, l'insegnante si inviperì come un picchio. Mi disse che avrei dovuto aspettare prima di acquistarlo, perché, a detta sua, certe sfumature nell'interpretazione erano state colte meglio nell'opera di Giacalone.
Per me, uno valeva l'altro.
Poi, sono cresciuto e ho capito che solo l'autore conosce esattamente il proprio stato d'animo e le intenzioni annegate nei propri scritti. La critica, fa quello che deve, analizzando, ipotizzando, azzardando. A volte, tra di loro, concordano; altre volte, s'azzuffano.
Sono anni che leggo i (T)uoi (A)ffettamenti con (P)iacere e (D)esiderio di scoperta. Mi hai abituato a metafore nelle metafore, alla decapitazione della ridondanza e all'eleganza. Ecco perché, adesso, la mia mente corre nelle direzioni più disparate alla ricerca delle accezioni sottocoperta, più che quelle alla luce del sole.
Qui, in questi pochi versi, non voglio vederci il significato letterale, forse perché non so come frenare la mia fantasia, che da sempre, indomita, va da sé. Quello che voglio fare, invece, è descriverti l'immagine che la lettura ha imbastito dinanzi agli occhi della mia mente:
È una vignetta a colori. Ci sono due individui su una collina verdeggiante, uno piegato sulle ginocchia, triste, che guarda l'altro, verosimilmente un amico, con un grosso buco al centro dello stomaco e raffiche di vento che vi passano attraverso. È triste, perché a causa di quel buco, vede la vita dell'amico appesa a un filo...
In calce alla mia interpretazione esotica, (A)micheTTa mia, (T)i lascio il mio (A)bbraccio di sempre, caldo e stretto.
Accomodati pure nella mia testolina!
EliminaAllora...
Ah, sì! Com'era facile fare il bucato una volta: servivano solo un mastello, della lisciva, i panni sporchi...e tanto olio di gomito!
Oggi occorrono un libretto d'istruzioni che illustri più di una decina di programmi e un pulsante che ci assolva dall'accusa di non aver alzato un dito.
Ieri pioveva. E niente più della pioggia motiva a pensare al sole. Il resto della scena si è allestito in poche mosse: una massaia rurale che stende i panni.
A inquinare quel contesto casalingo è un sentore di incertezza che alberga in tutto ciò che è appeso a un filo. Ebbene, per quanto possa sembrare allarmante la precarietà a cui quel bucato è condannato, quei panni si dimenano per un altro assillo: conoscere la direzione del vento senza poter sapere la sua meta. C'è un secondino che li ammanetta al filo da stendere perchè poi una casalinga, una volta asciutti, li confini nella cella di un cassetto.
Più che sapere dove vada il vento, in me è urgente il bisogno di accompagnarlo.
Più che far strada, vorrei averne quel tanto da camminare da un qui a un là.
Adesso, una parentesi sulla questione linguistica: bucato è una parola che depista, perchè suggerisce un buco e forse, a furia di farlo, è quella la sua sorte. Di fatto deriva da un verbo germanico bukon e risale all'epoca in cui i barbari scorazzavano per l'impero, salvo poi che qualche romano lo sigillò con un suffisso latino. Io avevo pensato pure al mastello, che tutto sommato assomiglia ad un foro e invece! L'etimo di mastello è mammella, perchè aveva quella forma. Meglio metterci un punto: non vorrei che il pargolo crescesse troppo in fretta, la mammella diventasse seno e la lisciva fosse un tantino lasciva!
Un forte (A)bbraccioTTo